Il campo di internamento di Ferramonti di Tarsia – oggi anche Parco Letterario Ernst Bernhard - è per tutti un luogo della MEMORIA ma è anche un luogo della MIA memoria. Ne sentivo parlare fin da bambina da mia mamma. Mi raccontava che lì, quando lei era ragazza e trascorreva l’estate nella non distante campagna di San Marco, andava spesso a trovare delle amiche. Io non riuscivo a capire perché mai ci fosse un posto come quello, lei cercava di spiegarmi che in verità Ferramonti non era come gli altri campi di internamento e di concentramento ma io non capivo lo stesso. Anche da bambina avvertivo l’assurdità di quella situazione: il luogo, per quanto lei mi dicesse che era un campo di internamento/concentramento anomalo, era pur sempre un lager e, già a pronunciarla, questa parola fin da allora mi evocava l’ inferno dantesco anche già prima di leggere “Se questo è un uomo” di Primo Levi
Nel tempo devo dire che, ripreso l’interesse degli storici verso il campo di Ferramonti, più che dai giudizi comprensibilmente negativi ascoltati nelle varie occasioni legate alla Giornata della Memoria, paradossalmente, quando ho iniziato a frequentare il ricostruito campo di Ferramonti, sollecitata e incuriosita dagli studi dell’amica prof.ssa Teresina Ciliberti, attuale Direttrice del Museo, nonché Responsabile del Parco, è stato sul posto, dalle testimonianze di vari superstiti che ho incominciato a comprendere il senso delle parole di mia madre e a pensare a Ferramonti come ad un luogo della speranza.
Certamente il ricordo del giornalista Riccardo Erhman, soprannominato “il bambino di Ferramonti” mi ha confermata in quella intuizione, infatti nella intervista rilasciata circa un anno fa a Madrid alla prof.ssa Ciliberti, ebbe a dire che quel luogo era stato per i 2000 internati: “il lager, la speranza, la salvezza” , e così nel mio immaginario il Campo di Ferramonti è diventato la metafora non solo dell’Inferno, come fu per Primo Levi il Campo di Auschwitz, ma di tutti e tre i regni danteschi : Inferno, Purgatorio e Paradiso.
E’ pur vero che già nel mezzo dell’inferno di Auschwitz la forza terapeutica della poesia di Dante era riuscita a fare scoppiare nella coscienza dei due amici internati- lo stesso Primo Levi e (Jean Samuel) Pikolo - con il canto di Ulisse, la scintilla della propria dignità di uomini, costretti alla condizione di bestie o, addirittura peggio, di numeri, e questa scoperta era risuonata come “un improvviso squillo di tromba … o come la voce di Dio”: Ma qui si trattò di un breve rapimento, di un barlume della coscienza soggettiva che probabilmente rese più insopportabile e senza alcuna speranza la condizione di permanente disumanità.
A Ferramonti, stando alle testimonianze e non solo di Ehrman, si doveva avvertire oggettivamente la speranza nella transitorietà di una condizione assurda che non perse mai i connotati dell’ umanità. Mai come nel 2021, in occasione del settecentesimo anniversario della sua morte, Dante sarà “l’uomo dell’anno” reclamato dappertutto più o meno opportunamente come lo è stato nel 2020 per il messaggio di speranza che è risuonato ovunque a squarciare il buio della pandemia con la luce delle stelle, mai dicevo come in quest’anno il campo di Ferramonti, nella visione allegorica dei tre regni, può diventare per il Comitato Dante Alighieri di Cosenza un polo di attrazione da valorizzare, in situazione di prossima o anche meno prossima normalità.
Da qualche tempo si parla di emergenza educativa oggi aggravata dalla attuale situazione pandemica che, come dice Papa Francesco, esige nuovi “processi creativi” nuovi paradigmi fondati sui valori dell’ospitalità e della solidarietà. Qui, a Ferramonti giovani (e meno giovani) non possono non restare indifferenti alla forza delle suggestioni e delle emozioni in cui si vengono a trovare inevitabilmente immersi, dove non è difficile sentire l’eco di voci lontane trasportate dal vento tra le foglie o vedere tra le ombre del crepuscolo gli spiriti vaganti di tanti uomini e donne e bambini di etnie diverse che qui vissero costretti in cattività eppure liberi ed in armonia tra di loro, che qui si sposarono e qui nacquero, che qui suonarono e ballarono e qui composero canzoni e musica classica e dipinsero e scrissero e lavorarono e pregarono.
Qui si riceve quell’ insegnamento che non ha bisogno di parole ma che arriva direttamente da quei visi nelle foto, da quei lettini a schiera nelle baracche ricostruite, che si respira nell’aria che essi stessi hanno respirato: qui si fa memoria e fare memoria significa evitare che tutto questo si ripeta e prendere coscienza di quello che è accaduto senza la tentazione di metterlo tra parentesi come nulla fosse. E significa anche riflettere su ciò che di positivo nonostante tutto si è realizzato: quella solidarietà, che è così invocata oggi più che mai, degli internati tra di loro e con gli abitanti della zona.
Un messaggio di PACE che il Comitato Dante Alighieri con il Parco letterario “Ernst Bernhard” invitano a vivere a Ferramonti di Tarsia.
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