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Blues di un molisano errante: Nicola Donatelli

21 Marzo 2024
Blues di un molisano errante: Nicola Donatelli
di   Foto: Lino Rufo Lino Rufo

Dedicato a Nicola Donatelli il quarto appuntamento di Tutte le stelle del Parco, la rubrica del M° Lino Rufo sui grandi personaggi che hanno conferito gloria e risonanza al territorio molisano in cui gravita il Parco Letterario Francesco Jovine

Amor, ch'a nullo amato amar perdona», un celebre verso della Divina Commedia di Dante contenuto nel quinto canto dell’ Inferno.

Il testo della canzone “Serenata rap” di Jovanotti riserva delle sorprese al cultore di memorie dantesche: 

 “Amor che a nullo amato amar perdona porco cane 
 Lo scriverò sui muri e sulle metropolitane”
 

 Qualche anno prima, un altro cantautore romano, Antonello Venditti, aveva reimpiegato il medesimo verso dantesco all’interno di una delle sue canzoni più famose, “Ci vorrebbe un amico”: 

“E se amor che a nulla ho amato,
Amore, amore mio perdona
In questa notte fredda 
Mi basta una parola” 

 Questo fenomeno si chiama intertestualità (una parola che designa la famiglia di rapporti – di varia natura – che un testo intrattiene con quelli della tradizione letteraria anteriore o coeva). 

 Sia Venditti sia Jovanotti nelle loro rispettive canzoni hanno citato uno dei versi più celebri della Commedia dantesca, prelevato dal quinto canto dell’ Inferno ( vv. 103 – 105 ): 

 “Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.”

Questo celebre verso significa che l'amore non permette a nessuna persona amata di non ricambiare.

Ed ecco perché sono qui a lambiccarmi sul quesito “Cosa avrà mai provato quel musicista o creativo molisano scappato via da questo piccolo territorio giurando di non tornarci mai più?”

Non oso immaginare quanta sofferenza, quanto dolore, quanta frustrazione abbia avuto dentro al cuore mentre lasciava questa infruttuosa terra infame.

E le lacrime che inondavano il selciato, erano non dolore, ma speranza di un futuro certo, gioia di aver lasciato l’inferno, gratitudine alla propria intraprendenza per aver “gettato a mare la fatuità” e scelto la costruzione di qualcosa che qui non sarebbe mai accaduto. Io stesso, quando è venuto il momento, sono andato via cantando i versi della mia canzone Sonia: “Luoghi primitivi nella mia gioventù, posti maledetti non ci tornerò mai più, paesaggi e gente senza colore, hanno decretato tutto il mio dolore…

Poi (ahimè!), alfine, son tornato, ma questa è un’altra storia e abbraccia altre vicissitudini.

Ecco, quindi, non sempre è vero che l'amore non permette a nessuna persona amata di non ricambiare! 

Oppure chi è andato via non è mai stato amato da questa terra e l’amore che credeva di ricevere era solo un’illusione?

Pare che ci sia una maledizione che colpisce le persone più sensibili, conosciuta con il nome di “Maledizione del molisano errante”, il quale è condannato ad andare in giro per il mondo a cercare una serenità che non troverà mai, blues autentico!

Più che la citazione di Dante io citerei l’inizio di Urlo di Allen Ginsberg:

“Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla pazzia,
affamate isteriche nude,
trascinarsi per strade di negri all'alba in cerca di una dose rabbiosa…”

Ecco, questo poemetto dà una misura più realistica dello sconquasso interiore che una terra amata, non ricambievole, può provocare ai propri figli.

Siamo sempre sulle Mainarde. 

 Partiamo da Filignano, che citavamo a proposito di Mario Lanza e Jim Capaldi, per ricordare un grandissimo cantautore originario di qui, Nicola Donatelli.

Ho conosciuto Nicola Donatelli agli albori del nuovo secolo, sul finire degli anni novanta, ma il suo nome mi era già noto da metà anni settanta, periodo in cui suonavamo entrambi al Folk Studio e ci cercavamo, senza incontrarci mai.

Intorno al 1998, un giornalista mi chiede di accompagnarlo a Filignano perché deve farmi conoscere una persona. Appena lì, raggiungiamo una casa al limite del bosco, dov’è, ad aspettarci, Nicola, e finalmente possiamo fare questa benedetta conoscenza.

È scalzo e si muove in modo scomposto, urtando e facendo cadere gli oggetti che incontra sul proprio cammino. Mi confessa quasi subito di avere il morbo di Parkinson.

Il pomeriggio dell’evento, che si rivela molto fruttuoso, ci scambiamo input creativi reciprocamente, accennando brevemente alle nostre storie passate.

Quando al far della sera torno a casa, di getto scrivo una canzone che dipinge il quadro umano che mi sono fatto di questo artista straordinario: 

Ecco l’uomo 

Ho visto un uomo con le mani in tasca
e i piedi nudi per non dimenticare
che se nel cuore tira burrasca
sembra di vivere col mal di mare,
ce la metteva tutta, ma non sapeva amare.
Qualcuno dice che ascoltava il bosco
con la sua pace e tutto quel silenzio,
soltanto il cuore a scandire il tempo
che se ne vola senza resistenza:
sembrava l'uomo della provvidenza.
Quante stazioni sul calendario
nel suo diario tanta emozione,
tutte le volte che immaginava
di aver sbagliato direzione
e poi fuggiva cavalcando il vento,
il vento dei suoi sogni di ragazzo,
non l'ho mai visto così contento,
nemmeno quando abbiamo rotto il ghiaccio.
Ho visto un uomo imprigionare il cielo
dentro ai suoi occhi verdi come il mare
e tanta voglia di parlare
a chiunque avesse il cuore affranto:
ho visto l'uomo della porta accanto.
Muove le foglie del suo cuscino,
mentre si fissa ad immaginare
che il mondo viva sopra un fuoco spento
da tutta l'acqua che ha versato il mare:
ho visto un uomo che sta per affogare.
Scrive canzoni come grattacieli,
mattone su mattone
ed arrossisce quando lo tieni
stretto nel collo di un’emozione,
però non fugge cavalcando il vento
perché ha capito che cos'è l'amore:
ora sorride perché è contento
che sulla terra risplenda il sole.

Dopo questo episodio, ci incontriamo ancora e ancora e ancora, costruendo una solida amicizia basata sulla stima reciproca. È ospite in casa mia più volte, dove scrive anche diverse canzoni, fra cui una deliziosa: 

Un treno per Isernia 

E sono passati quasi più di trent'anni
Da quando prendevo questo treno per venire da te
E stasera che piove come dio la manda
Sto sognando che tra poco ancora una volta
T'abbraccerò
Su questo treno per Isernia
Ch’è la città del mio destino
Quante volte mi sono perso
Ma tutte le volte ho ritrovato il mio cammino
E sogno che tu mi stai aspettando
Con quel cappotto verde alla stazione
E conto i metri che ancora ci stanno separando
Tra un minuito t'abbraccerò
La littorina imbocca l'ultima curva
L'ultima curva prima della stazione
M'affaccio al finestrino come un cane pastore
Con la lingua a penzolone
Scusatemi tutti quanti brava gente
Se vado di fretta e non vi sto ascoltando
Ma c'è il mio amore che m'aspetta
Ed io voglio incontrarla cantando
Su questo treno per Isernia
Ch’è la città del mio destino
Stasera ho ritrovato i miei vent'anni
E t'ho sentita un'altra volta vicino.

Nicola mi declama anche decine di splendide poesie e poemetti da lui composti.

Ci rechiamo a Roma in RCA a portare i pezzi di Nicola, il quale regolarmente consegna le sue splendide composizioni alle edizioni della storica casa discografica.

Massimo Ranieri interpreta e registra una splendida “Acero bianco” di Nicola e le sue canzoni affascinano per anni tutti coloro che hanno la fortuna di approcciarle.

 "L'aquilone" deve essere il suo brano di punta, ma piace a Gianni Morandi. Nasce un nuovo brano, che si intitola "Azzurra Storia" e viene inserito con un nuovo testo ed alcune modifiche nell'album "Immagine italiana".

Una mente fertile, ispirata, ma anche apparentemente posseduta da turbe incontrollabili in taluni momenti, fervida di immaginazione dettata da un tormento interiore che nasce negli anni dell’adolescenza, nel periodo in cui frequenta il liceo Mamiani a Roma e, come tutti i suoi coetanei, vive un rapporto generazionale conflittuale con i propri genitori, specialmente con il padre, che muore in un frangente in cui Nicola è abbastanza fragile e l’evento lo segna per tutta la vita.

Nel 2004 vede la luce il primo romanzo di Nicola Donatelli. È la sua stessa storia, narrata senza tempi di rigore, con stile immediato, fruibile, comunicativo, che scivola in perfetta lucidità dall'adolescenza alla maturità, accompagnata dalla convivenza con il morbo di Parkinson con i suoi pesanti farmaci, alle difficili relazioni sentimentali. È un drammatico ma in fondo sereno viaggio dell'anima di un artista imprigionata in un corpo che cede, ma non si arrende. L'inesauribile creatività trova di continuo altre vie di comunicazione, ingenuamente e per questo positivamente volte all’immortalità.

Per la stessa casa editrice, SOPI Editrice S.r.l., Nicola pubblica anche una seconda opera di poesie e canzoni.

La sua creatività non si limita alle canzoni poesia e letteratura, ma esegue dei fantastici disegni naïf.

Sul sito della SOPI si può leggere una sua autobiografia scritta nel 1981, periodo storico che ha influenzato tutta la sua esistenza futura.

Autobiografia scritta da Nicola Donatelli

“Mi chiamo Nicola Donatelli e sono nato a Roma il 3 febbraio 1949, sotto il segno dell'Acquario.

Sono laureato in Filosofia e studio composizione al Conservatorio di S. Cecilia.

Lavoro, come pianista accompagnatore, presso l'Accademia Nazionale di Danza.

Ho cominciato a suonare abbastanza presto, verso i dieci anni. A casa mia c'era un pianoforte a coda, un Erard, che ai suoi tempi, insieme al Pleyel, era stato il pianoforte preferito da Chopin. Ci avevano studiato mia nonna, mia madre e mia zia. Ma questo non deve trarre in inganno, non significa affatto che io sia nato in una famiglia di musicisti. Era il solito discorso borghese delle ragazze di buona famiglia che studiano musica per allietare (si fa per dire) il riposo del guerriero.

La musicalità l'ho ereditata da fonti meno accademiche ma sicuramente più spontanee. Mio padre, medico abruzzese purosangue, suonava il pianoforte a orecchio e mio nonno il violino.

Tutto questo lascerebbe pensare un accostamento alla musica abbastanza facile per me. Invece fu una cosa abbastanza sofferta. Il fatto che mio padre fosse abruzzese purosangue e suonasse il pianoforte non fu di molto aiuto quando gli comunicai che volevo lasciare medicina (una delle quattro facoltà in cui sono stato iscritto) per studiare musica.

Come spesso accade per i genitori, essi avevano già deciso il mio avvenire, senza chiedere minimamente il mio parere.

In breve, ero nato medico e non potevo eludere il mio destino.

Per dissuadermi, mi dissero le solite cose, che la strada della musica era una strada incerta, che dovevo pensare a qualcosa di più serio e che potevo benissimo tenermi la musica come hobby e laurearmi. Ma proprio in quel periodo accadde che mio padre morì e questo evento cambiò molto la mia vita. Esso rivelò quanto fosse fragile la mia famiglia e quanto la morte di mio padre fu anche la morte dell'unica fonte di spontaneità che esisteva in essa.

Fu allora che iniziai a scrivere le prime canzoni.

Vivevo da solo a Roma, in viale delle Medaglie d'Oro, e passavo il tempo facendo finta di preparare qualche esame all'Università (ero iscritto a Filosofia) e scrivendo canzoni.

Un giorno, passando per piazza Esedra, capitai in mezzo ad un Festival dell'Unità e vidi su un camion quello che sarebbe stato il mio coinquilino, Ernesto Bassignano, che stava preparandosi a suonare. Mi avvicinai e balbettando gli dissi che avevo scritto una canzone sul compagno Franceschi che avevano ammazzato pochi giorni prima a Milano, e che avrei avuto piacere se lui l'avesse voluta ascoltare.

Ci demmo un appuntamento per il pomeriggio a casa mia, e lui gentilissimo venne e la canzone gli piacque, tanto da propormi di cantarla al Folkstudio di Giancarlo Cesaroni. Nel discorso venne anche fuori che lui cercava casa ed io cercavo qualcuno con cui dividere il prezzo dell'affitto. L'incontro si rivelò vantaggioso per entrambi.

La domenica al Folkstudio io tremavo come una foglia. Era la mia prima esibizione in pubblico e quando Ernesto fece il mio nome, io ero scappato via. Mi raggiunsero a Piazza S. Cosimato e mi portarono davanti al piano.

Non so come riuscii a suonare la canzone dall'inizio alla fine senza sbagliare, con le mani che sembravano completamente autonome dal cervello.

Andò bene, la canzone piacque e io pensai che forse potevo tentare quella strada.

Cominciai ad andare tutte le domeniche al "Folkstudio Giovani" dove già si esibivano alcune stelle come De Gregori, Venditti e lo stesso Bassignano. Ne sono uscito fuori molto bene, mi sono iscritto al Conservatorio ed ho continuato a scrivere canzoni.

Il mio primi 45 giri si intitola "Canta canta" perché la musica ti aiuta a risolvere tutti i problemi. Sul retro una canzone d'amore: "Se sapessi".

Ciao 
Testimonianza di Ernesto Bassignano

Ho conosciuto Nicola Donatelli nella casa in cui ora abito da sette anni. La casa infatti era abitata da lui che, per vicende personali l'aveva dovuta lasciare affidandomela tutta intera, cosi come l'aveva sistemata e portandosi via solo il suo adorato pianoforte, così come lo spazzolino da denti. Si è rivolto a me la prima volta in piazza, chiamandomi tra la folla mentre io, sopra il cassone d'un camion, berciavo i miei slogans canzone a centinaia di migliaia di metalmeccanici confluiti a Roma in una delle tante manifestazioni. Mi ha detto "Mi chiamo Nicola e ho scritto una canzone per quel compagno che è morto. La vuoi sentire per darmi un parere?".

E' stata l'unica canzone di lotta che ha scritto, perché gli ha fatto troppo male. La lotta ha continuato a sentirla dentro di sè, puro e indifeso, travolto dalla sua ipersensibilità di musicista prima, di cantautore poi, di libertario militante sempre.

Ha cambiato auto, mete, furgoni, casa, garage, pianoforte, s'è rivoltato l'anima tre o quattro volte come un soprabito è passato e ripassato attraverso le dolcezze e le violenze dei suoi testi e dei suoi tasti fino a ripercorrere, studiandola, la grande tradizione dei grandi classici e le piccole note e parole di colleghi e contemporanei acquisendo qualche anno d'età in più, mani più forti e riuscendo a dimenticare per qualche ora la propria fragilità. Un quarantacinque giri oggi, nel momento peggiore per un Donatelli, è tanto poca cosa di fronte ai migliaia di LP che formano la carica d'un esercito amorfo per altre amorfe schiere in attesa del nulla. Un piccolo disco che racchiude dieci anni di incazzature, sbronze e amori è come un insulto estremo di tutti i tanti nemici dei Nicola e Nicola. Ma proprio oggi e per tutto questo, è veramente una cosa enorme che abbia trovato qualcuno che glielo abbia fatto fare. E a lui vada tutta la mia riconoscenza di amico.
"Daje a Nico', che sei er primo!"

Ernesto Bassignano da "Nuovo Sound" n.5/6 -198 

 Articolo di Franco Schipani 

 Non sono molte le persone che possono permettersi il lusso di una scelta di fondo nell'ambito della propria produzione artistica, ma fra queste c'è senz'altro Nicola Donatelli, il quale dimostra che una scelta coerente di significati può essere altresì valida anche prescindendo da fattori commerciali già prestabiliti. Ciò è ancor più valido quando è dimostrato che una scelta di tal genere non nasconde un certo impegno sociale e politico che non prescinde affatto da quello che è il fattore umano. Il nesso tra uomo ed artista assurge in questo caso ad una chiarezza determinante, e sfocia in alcune canzoni che sono, in effetti, un caso particolare della sua esistenza. C'è altro oltre alla musica, e questo Nicola lo ha capito, ha capito i temi di fondo di quella complessa problematica propria del genere umano e la sviluppa a livello personale, dando così prova che il singolo può essere un campione ottimale per una soluzione semplice e determinante E' il menestrello della non violenza, colui che ha compreso il profondo significato di alcune relazioni dei sentimenti umani e vuole a tutti i costi portare avanti il suo discorso e la sua soluzione. E' la soluzione di tutti.

Questo artista, di una così alta levatura artistica e morale, non è ancora giunto alla realizzazione del suo primo LP, e questa è una grave pecca che grava sulle nostre case discografiche, ancora una. Se anche le Orme o Battiato hanno fatto più di un LP non si capisce perché uno che ha veramente qualcosa da dire non possa fare altrettanto. . . forse è colpa (e sarebbe più giusto dire merito) dei testi delle sue canzoni che non sono affatto commerciali e divulgabili con i normali mezzi di diffusione come la radio o la TV, o del suo discorso che a troppe persone può anche far paura, o forse è perché il suo prodotto non sarà mai "commerciabile". Questo è il più grave pericolo al quale questo artista potrebbe andare incontro; la macchina dell'affare discografico ha le mani lunghe ed etichetta tutto, anche Leo Ferré. Per coloro i quali vogliono ascoltare questo prodotto ancora "immacolato" consigliamo di ascoltare subito Nicola, perché col tempo le cose potrebbero cambiare non tanto per lui quanto per il mercato. Ogni uomo ha i suoi limiti ed il suo prezzo anche se sarà molto difficile spuntarla con Nicola Donatelli. Lui ha già avuto delle proposte dalle più importanti case discografiche italiane e dubitiamo vivamente che queste possano accettare i suoi testi in versione integrale. Ma Nicola è ormai un simbolo, se anche questo dovesse dimostrarsi fatuo ed inconsistente sarebbe davvero una grossa delusione. I suoi testi sono vere poesie scritte con l'anima sanguinante di chi ha sofferto davvero e trova nella sua musica la realizzazione di se stesso, dipingendo note che parlano quasi più delle parole che cantano. Melodie pure, dolcissime, alternate a momenti ritmici in cui è protagonista l'UOMO che corre stringendo i denti fino allo stremo delle forze, pur di non perdere il diritto ad essere se stesso.

In alcuni brani si sente quanto la sua cultura classica sia maturata internamente e gli permetta di scrivere con la sensibilità di oggi, sui fatti di oggi, una musica che a se stante potrebbe sembrare addirittura settecentesca, ma che in quel punto, per dar forza a quelle parole, diventa la più moderna mai ascoltata. Non c'è niente di inventato niente di costruito: Nicola è ancora "pulito", e nella fermezza del suo carattere si può intuire che le case discografiche che lo corteggiano, se lo vogliono, lo dovranno accettare com'è, compresa ogni sfumatura della voce, ogni accento, perché anche le virgole hanno significato, per Nicola e per tutti quelli che lo hanno ascoltato attentamente e ancora lo ascolteranno nelle piazze (no, non nelle balere).

La sua partecipazione più "giusta" è stata dunque quella al festival per "I Dieci Giorni Contro la Violenza", a Roma. I suoi testi sono proprio in quella direzione con la visione chiara e dolente della situazione attuale "sentita" in profondità. Qualcuno ha cercato di fare un confronto, e abbiamo sentito nominare da Bob Dylan a David Bowie, li abbiamo visti discutere dopo ogni esibizione di Nicola, li abbiamo visti domandargli una copia dei suoi testi.

Fidiamo nelle sue idee, nella sua carica umana davvero eccezionale; ed in quello che lui ha sempre proposto: la vita è quella che è, con vecchi e nuovi problemi; cambiano solo le situazioni e gli uomini. Speriamo dunque che Nicola si renda conto di questa sua grossa responsabilità e che agisca di conseguenza. Noi abbiamo ascoltato Nicola anche in casa di amici e siamo rimasti entusiasti di ogni sua nota e parola, la sua tecnica del resto non lascia scampo ad un'altra interpretazione, in quanto è fondamentalmente un istintivo, un proletario che ha scelto come mezzo di lotta la musica. Ci piace ricordare tra tutti i suoi brani "In questi ultimi giorni", "La ballata di Paì" ed "Essere come sono". Con Nicola dunque è nata una nuova musica, e questo per noi è già molto. 

Franco Schipani da Super Sound n. 31, 3 agosto 1974 

 Lino Rufo

Immagine: Nicola Donatelli di Fabrizio Vinti, 2010

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