Il 16 settembre è stata inaugurata la quinta panchina letteraria dedicata ad Emma Perodi, nel castagneto di Camaldoli alla presenza del sindaco del Comune di Poppi Carlo Toni, del Presidente di Federparchi Luca Santini, del Presidente dei Parchi Letterari Stanislao de Marsanich, della Presidente del Parco Letterario Emma Perodi e le Foreste Casentinesi Annalisa Baracchi e del Comandante Reparto Carabinieri della Biodiversità, Paola Ciampelli.
La giornata si è conclusa con un convegno ( Le Foreste millenarie: fantastiche fiabe) durante il quale sono state esposte per la prima volta due stampe ritrovate nel Monastero che raffigurano le vedute della Basilica di San Paolo, una delle quattro basiliche papali romane, la più grande dopo quella di San Pietro, semidistrutta dopo l’incendio del 1823.
Nel 1787 Johann Wolfgang von Goethe, durante la sua seconda visita a Roma ne lascia una descrizione, che è anche un prezioso documento: ...un edificio d'imponenti e belle proporzioni perché raggruppa antichi, pregevolissimi resti. L'ingresso in questa chiesa produce un effetto solenne: possenti file di colonne sorreggono grandi pareti affrescate, chiuse in alto dall'intreccio ligneo del tetto; dimodoché il nostro occhio mal avvezzo riceve a tutta prima quasi l'impressione d'un granaio, benché l'assieme, se nelle festività l'architrave fosse rivestito di tappeti, produrrebbe una visione incomparabile. Nei capitelli troviamo alcuni residui mirabili d'una colossale architettura riccamente ornata, provenienti e salvati dai ruderi del palazzo di Caracalla che sorgeva nelle vicinanze, oggi quasi del tutto scomparso.
Le due stampe sono state disegnate e incise, come indica l’iscrizione che corre in basso alle stesse, da Luigi Rossini (Ravenna, 15 dicembre 1790 – Roma,22 aprile 1857) e mostrano dettagliatamente la situazione disastrosa in cui versava la basilica dopo l’incendio: il transetto aveva retto al crollo di parte delle navate preservando in buona parte il ciborio di Arnolfo di Cambio, capolavoro in stile gotico risalente al 1285 e alcuni mosaici; anche l’abside, l’arco trionfale, il chiostro rimasero illesi. Il dibattito sull’intervento di restauro, portò ad una scelta che rispecchiasse fedelmente l'architettura dell'antica basilica costantiniana. Fu Leone XII che il 25 gennaio 1825 emanò l'enciclica Ad plurimas nella quale invitava i vescovi ad una raccolta di offerte presso i fedeli per la ricostruzione. Lo stesso Leone XII, in un chirografo del 18 settembre 1825 pose le basi per il progetto: i lavori, diretti dall'architetto Pasquale Belli iniziarono l'anno successivo; l’attuale aspetto della basilica è però dovuto, in massima parte, all'architetto Luigi Poletti. La basilica venne consacrata da Pio IX il 10 settembre 1854.
Nel 2006 con alcuni lavori di ristrutturazione nella zona davanti all'altare papale, è stato reso in parte visibile il sarcofago marmoreo che, secondo la tradizione, contiene i resti mortali dell'apostolo Paolo che una consolidata tradizione cristiana afferma sia stato sepolto all'interno della proprietà della matrona Lucinia, dopo aver subito il martirio per decapitazione presso la località Acque Salvie oggi Tre Fontane.
Il luogo, divenne meta di pellegrinaggi fin dal I secolo e venne monumentalizzato, come testimoniato dal Liber Pontificalis, dall'imperatore Costantino I, con la costruzione di una piccola basilica, consacrata nel 324 durante il pontificato di Silvestro I, di cui si conserva solo la curva dell'abside, visibile nei pressi dell'altare centrale della basilica attuale che venne ricostruita completamente sotto il regno congiunto degli imperatori Teodosio I, Graziano e Valentiniano II nel 391. Varie modifiche furono apportate nel corso dei secoli fino al disastroso incendio del 1823.
Sopra l’arco trionfale un’iscrizione ricorda il fondatore del monumento architettonico: TEODOSIUS CEPIT PERFECIT ONORIUS AULAM DOCTORIS MUNDI SACRATAM CORPORE PAULI (Teodosio iniziò, Onorio portò a termine questo tempio, santificato dal corpo di Paolo, dottore del mondo).
Le due vedute di Rossini, cugino del compositore Gioacchino, architetto, illustratore e incisore, ultimo grande illustratore dopo Piranesi e Pinelli delle meraviglie di Roma, Illustra con assoluta fedeltà e con esattezza topografica, da archeologo prestato all’arte, la situazione in cui versava la struttura architettonica della basilica dopo l’incendio devastante del 15 luglio. Cronista meticoloso nella definizione del dettaglio architettonico, l’illustratore che Canova apprezzava definendo i suoi disegni “precisi eseguiti con intelligenza”, aveva frequentato a Bologna l’Accademia di Belle Arti. Nel 1813 aveva vinto il concorso per l’Architettura promosso dal Regno Italico di Napoleone e si era recato a Roma; caduto Napoleone anche la sua triennale borsa di studio non aveva più validità ma fu proprio per volere di Canova che rimase nella città eterna dove nel 1847 venne nominato professore in Architettura presso l’Accademia di San Luca. Rossini fu uno degli ultimi grandi illustratori prima dell’avvento della fotografia e all’epoca dell’incendio aveva trentatré anni e attraverso i suoi disegni, meticolosamente condotti con l’intento di documentare un evento di straordinaria importanza, ci ha lasciato una testimonianza figurativa dinanzi alla quale ancor oggi possiamo renderci conto dell’immane disastro.
Nove anni dopo l’incendio, nel 1832 un documento, conservato presso l’archivio di Camaldoli ci tramanda un contratto tra il camaldolese Don Vincenzo Frilli e la basilica romana dal quale si evince che dalle foreste casentinesi furono inviati ben 360 travi di abete, di varie misure, per la ricostruzione di San Paolo.
Il documento riporta anche i costi dell’operazione in scudi romani e baiocchi e la notizia che le travi furono inviate a Livorno per proseguire per mare il loro viaggio verso la capitale.
A seguito delle notizie riportate dal documento, possiamo ipotizzare che il grande carico di legname che arrivava dalle millenarie foreste di Camaldoli, sia stato trainato dalla foresta con i buoi lungo una delle storiche vie dei Legni ad uno dei due porti fluviali sull’Arno, Fiumicello a Pratovecchio e il Porto a Ponte a Poppi, per poi essere assemblati in foderi (travi legate con corde formavano delle zattere, detti foderi) guidati da un foderatore e inviati fino a Livorno.
Considerando che l’area in cui sorge la basilica era situata presso l'argine del Tevere dove esisteva un porto, luogo noto ora come "Darsene di Pietra Papa", è probabile ipotizzare che una volta giunti ad Ostia i tronchi fossero stati fluitati lungo il Tevere per raggiungere la destinazione definitiva.